Nunzianna Di Tursi
Il suffragio universale italiano e il diritto di voto della donna nel mondo.
Aggiornamento: 14 giu 2022
Analisi storica e sociale del diritto fondamentale della donna di esprimere il proprio consenso politico. Emancipazione femminile e diritto di voto delle donne nel mondo: quanta strada è ancora necessario percorrere?

In una delle sue opere più famose dal titolo “Sui diritti delle donne”, Mary Wollstonecraft sosteneva che “poiché divengano membri veramente utili della società, le donne dovrebbero essere indotte, attraverso l’esercizio dell’intelletto su ampia scala, ed acquisire un affetto razionale per il loro paese, fondato sulla conoscenza; poiché è ovvio che si è poco interessati a ciò che che non si comprende”.
Parole dure queste dell’autrice, ma pregne di un'analisi profonda del contesto socio-culturale dei suoi tempi.
La nostra solita domanda sorge spontanea: il contenuto di questo messaggio potrebbe essere trasposto nel nostro periodo storico e nel nostro contesto geografico?
Cerchiamo di porre le basi del nostro ragionamento.
Abbiamo celebrato qualche giorno fa l’anniversario della nascita della Repubblica Italiana, e sappiamo ormai da tempo e con certezza che determinante per il risultato elettorale, fu il voto delle donne.
Il 2 giugno 1946 milioni di donne italiane, per la prima volta, andarono alle urne. Furono chiamate a scegliere tra Monarchia e Repubblica e, attraverso il loro voto nel referendum a suffragio universale, contribuirono al tramonto dei Savoia e all'instaurarsi del primo governo di maggioranza.
"Le italiane, fin dalle prime elezioni, parteciparono in numero maggiore degli uomini, spazzando via le tante paure di chi temeva che fosse rischioso dare a noi il diritto di voto perché non eravamo sufficientemente emancipate. Non eravamo pronte. Il tempo delle donne è stato sempre un enigma per gli uomini. E tuttora vedo con dispiacere che per noi gli esami non sono ancora finiti. Come se essere maschio fosse un lasciapassare per la consapevolezza democratica". Sono le parole di Tina Anselmi e, lette oggi, fanno ancora riflettere.
Il voto alle donne venne approvato durante il secondo governo Bonomi nel febbraio 1945, favorito da un accordo tra Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti.
Ma solo l'anno dopo, nel marzo 1946, le donne vennero completamente equiparate agli uomini nei diritti politici dell'elettorato attivo e passivo e votarono per le amministrative.
Come riferisce Dino Messia, storicamente, prima di arrivare al voto, la donna ha dovuto attraversare varie tappe determinanti. “Nel 1877 Anna Maria Mozzoni, fondatrice a Milano della Lega promotrice degli interessi femminili, presentò la prima storica petizione politica in favore del voto alle donne appartenenti ad un ceto superiore. Ma col tempo, più precisamente nel 1912, dopo accesi dibattiti, si ritenne che, a causa dell’elevato tasso di analfabetismo (imputato per lo più al mondo femminile), potesse essere approvato solo il suffragio maschile. Nel 1919 il Parlamento approvò la proposta di legge per il riconoscimento della capacità giuridica della donna, rimandandone però l’attuazione alla legislatura successiva, quando tutto era già in mano al governo fascista, che mise subito da parte la questione. La svolta avvenne il 1° febbraio del 1945, quando finalmente e grazie al governo Bonomi, su proposta di Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, venne concesso il diritto di voto alle donne italiane. Il traguardo fu quindi raggiunto proprio il 2 giugno del 1946. Quel giorno, furono oltre dodici milioni di donne ad esprimere il proprio parere politico.”
Ma sul diritto di voto alle donne, non poche erano state nel tempo le riserve e le resistenze dimostrate dalle varie frange di potere. Fa riflettere come anche la sinistra, all'epoca progressista, manifestò dubbi sull'estensione del suffragio alle donne. Secondo Fornaro, "I partiti espressione della cultura laica e azionista, che pur attribuivano al diritto di voto un valore sul piano della libertà individuali, finirono per mostrarsi quasi indifferenti se non addirittura diffidenti la riforma".
Il timore era che le elettrici finissero per votare in massa per la monarchia, o in generale per la Democrazia cristiana.
Il diritto di voto fu concesso alle donne che avessero compiuto i 21 anni alla data del 31 dicembre 1944, ovvero raggiunta la maggiore età dell'epoca. Le uniche escluse erano le prostitute che esercitavano al di fuori delle case chiuse.
Fu un giorno di festa, il 2 giugno - si votava per il referendum e per l'assemblea costituente - con file ovunque davanti ai seggi, con una partecipazione elettorale dell'89 %. Per la prima volta le donne votavano per il Parlamento e per un referendum. Vinse la Repubblica, grazie al voto massiccio del Nord, delineando una frattura nel Paese. La Dc s'impose come primo partito con quasi il doppio dei voti del Pci.
Le donne italiane, specie quelle del Sud, arrivano al voto incredule, spaesate, eppure tanto felici. Incapaci di discernere, spesso intimorite di sbagliare, chiedevano consiglio a padri e mariti su cosa indicare sulla scheda. Altre donne invece, in particolare quelle del Nord, videro in quel voto il riconoscimento di tutte le loro lotte. Quella “X” era il risultato di una serie di attività di volantinaggio, assemblee e riunioni durante i quali le donne educavano le future elettrici, informando cosa rappresentasse quel loro voto. (D. Federico)
La scrittrice e saggista Maria Bellonci, scriveva così di quel giorno: "Anche per me gli avvenimenti più importanti di quest'anno 1946 sono fatti interiori; ma è un fatto interiore - e come - quello del 2 giugno quando di sera, in una cabina di legno povero e con in mano un lapis e due schede, mi trovai all'improvviso di fronte a me, cittadino. Confesso che mi mancò il cuore e mi venne l'impulso di fuggire. Non che non avessi un'idea sicura, anzi; ma mi parvero da rivedere tutte le ragioni che mi avevano portato a quest'idea, alla quale mi pareva quasi di non aver diritto perché non abbastanza ragionata, coscienziosa, pura. Mi parve di essere solo in quel momento immessa in una corrente limpida di verità; e il gesto che stavo per fare, e che avrebbe avuto una conseguenza diretta mi sgomentava. Fu un momento di smarrimento: lo risolsi accettandolo, riconoscendolo; e la mia idea ritornò mia, come rassicurandomi."
Come raccomandò il “Corriere della Sera” in vista dello storico 2-3 giugno 1946, le donne dovettero recarsi al voto senza rossetto “siccome la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donne nell'umettare con le labbra il lembo da incollare potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po’ di rossetto”.
Per non rischiare di rendere nullo il voto in quella memorabile prima grande elezione politica italiana a suffragio universale, le donne accettarono anche questo stupido affronto, ma proseguirono nel loro intento.
Riuscirono così, a portare il loro sostegno a dei validi rappresentanti della Costituente che avrebbero dotato la Repubblica, dal 1° gennaio 1948, della nostra Costituzione.
Al termine del suffragio, le donne elette risultarono 21 e tra queste, cinque entrarono a far parte della Commissione per la Costituzione incaricata di elaborare il progetto scritto della massima fonte normativa. Ricordiamo Maria Federici, Nilde Jotti, Teresa Noce, Angela Gotelli e Lina Merlin).
Fu proprio attraverso la Costituzione, che il nuovo e tanto atteso ordine politico e sociale, divenne procedura giuridica: attraverso la primaria fonte del diritto si determinò una operazione tale per cui, almeno per un certo periodo, fu possibile mettere insieme forze politiche contrapposte, che ritrovarono in quel testo giuridico una possibile via di uscita dal conflitto.
Il nostro pensiero ci porta oggi a dire che un’epoca dove le discriminazioni di genere ancora permangono in molti ambiti della nostra società, la Festa della Repubblica può ancora costituire presupposto e memoria di uguaglianza.
In questa visione delle cose, non possiamo far riferimento alla condizione delle donne in altre regioni del mondo. Le donne hanno lottato e lottano ancora oggi per vedere riconosciuto il loro diritto di espressione sociale e politica.
Roberta Ragni ci dice che “il voto delle donne, che oggi sembra ovvio ed è quasi dato per scontato, non lo era affatto fino a qualche anno fa. In Arabia Saudita, ad esempio, questo diritto non è stato garantito fino al 2011 (e ancora oggi ha delle forti restrizioni). Al polo opposto troviamo la Nuova Zelanda, il primo Paese a promuovere il suffragio femminile”.
Se per l’Italia l’anniversario della Repubblica è occasione di rimembranza della conquista del diritto di voto, non possiamo esimerci dal ricordare anche le conquiste sociali, economiche, politiche e le discriminazioni/violenze che le donne hanno dovuto affrontare e subire in quasi tutte le parti del mondo.
“Il secondo Paese al mondo a dare il diritto di voto alle donne, in ordine cronologico, fu l’Australia, ma escludendo uomini e donne aborigeni. Lo stesso accadde in Norvegia (1907), dove veniva richiesto il rispetto di alcuni requisiti relativi alla propria posizione sociale per votare (mentre nella vicina Finlandia, un anno prima, la misura era stata adottata senza alcun veto).
Negli anni successivi il resto dei Paesi nordici si unì al voto per l’intera popolazione: avvenne nel 1915 in Danimarca e Islanda , mentre in una parte del resto d’ Europa (Austria, Germania, Polonia, Lituania, Regno Unito e Irlanda) la legge fu implementata un po ‘più tardi, nel 1918.
Un anno dopo, le donne di altri territori britannici, come l’Isola di Man, acquisirono questo diritto. Il caso di questo luogo è curioso, poiché già nel 1881 era stata approvata una legge che garantiva il voto alle donne single e alle vedove che avevano un certificato di proprietà, rendendolo di fatto il primo territorio a fare qualcosa del genere in tutto il mondo.
Curioso scoprire che Paesi come l’ Armenia, l’Estonia, la Georgia, l’Azerbaigian, il Kirghizistan, lo Zimbabwe o il Kenya approvarono il diritto di voto per le donne negli anni ’10, ben prima di Paesi che ora consideriamo più “avanzati”, come il Portogallo (1931), Monaco (1962) ) o Andorra (1970). Pensate che le donne della Svizzera acquisirono questo diritto solo nel 1971. Curiosamente, in Grecia, culla della democrazia, le donne non poterono votare fino al 1952”. Ricordiamo ancora altre importanti conquiste attraverso le seguenti date: Nuova Zelanda 1893, Paesi Bassi 1919, USA 1920, Svezia 1921, Spagna 1931, Giappone 1945, URSS 1915, Canada 1917, Francia 1946, Belgio 1948.
Molto ancora c’è da fare, in diverse zone marginali, per i diritti di espressione della donna, ed impegno comune divenga assicurare questi diritti.
Vogliamo riprendere, quindi, ancora una volta le parole di Wollstonecraft perché ci spronino a fare di più per l’emancipazione femminile: “Si permetta alla donna di condividere i diritti degli uomini ed ella ne emulerà le virtù; giacché una volta emancipata, dovrà perfezionarsi. Altrimenti (l’uomo) dovrà giustificare l’autorità che incatena un essere così debole ai suoi poteri”.
Noi riteniamo che non occorre giustificare alcunché, in quanto non si può e non si deve incatenare il libero pensiero. Alle donne di ogni Nazione spetta solo il compito di emanciparsi e perfezionarsi continuamente, per la propria libertà.