Nunzianna Di Tursi
Il viaggio dell'Eroe - Assistente Sociale
Aggiornamento: 13 gen
"Sulla via di Damasco": dalla "chiamata" alla Libera Professione al "ritorno con l'elisir", passando attraverso "l'incontro con il Mentore", "l'avvicinamento alla caverna più profonda", "la ricompensa" e "la resurrezione".

Era una tranquilla sera di autunno e sorseggiavo il mio cocktail seduta al tavolo di un lounge bar in compagnia di mio marito quando, intrattenendoci col personale del locale ad analizzare le vicende politiche delle cittadine vicine alla nostra, il proprietario dell'attività commerciale mi chiese: "Di cosa si occupa lei, signora ?". Risposi orgogliosamente: "Sono una assistente sociale" e mentre lui diveniva d'improvviso serio, si accinse a concludere frettolosamente: "Ah, lei è una di quelli che portano i bambini via dalle famiglie..."
In quel momento, recepita per l'ennesima volta la solita affermazione che per un assistente sociale ha più il valore di una sconfitta che di una denuncia, realizzai che era giunto il momento di attuare il mio personale cambio di passo. Non potevo più procrastinare: lo dovevo a me stessa, lo dovevo al mio amato lavoro, lo dovevo alla mia infaticabile Comunità Professionale.
E così, atteso che:
"L'esercizio della professione si basa su fondamenti etici e scientifici, sulla disciplina accademica, sulla pratica, sull'autonomia tecnico-professionale e sull'indipendenza di giudizio.
L'assistente sociale (...) riconosce il valore, la dignità intrinseca e l'unicità di tutte le persone e ne promuove i diritti civili, politici, economici, sociali, culturali ed ambientali così come previsti nelle disposizioni e nelle Convenzioni internazionali.
L'assistente sociale afferma i principi della difesa del bene comune, della giustizia, della solidarietà e dell'equità sociale e, nel promuovere la cultura della sussidiarietà, della prevenzione e della salute, opera affinché le persone creino relazioni di reciprocità all'interno delle comunità alle quali appartengono.
L'assistente sociale riconosce il ruolo politico e sociale della professione e lo esercita agendo con o per conto della persona e delle comunità, entro i limiti dei principi etici della professione.
L'assistente sociale riconosce la centralità e l'unicità della persona in ogni intervento; considera ogni individuo anche dal punto di vista biologico, psicologico, sociale, culturale e spirituale, in rapporto al suo contesto di vita e di relazione.
L'assistente sociale svolge la propria azione professionale senza fare discriminazioni e riconoscendo le differenze di età, di genere, di stato civile, di orientamento e identità sessuale, di etnia, di cittadinanza sociale e giuridica, di ideologia politica, di funzionamento psichico o fisico, di salute e qualsiasi altra differenza che caratterizzi la persona, i gruppi o le comunità.
L'assistente sociale promuove opportunità per il miglioramento delle condizioni di vita della persona, delle famiglie, dei gruppi, delle comunità e delle loro diverse aggregazioni sociali; ne valorizza autonomia, soggettività e capacità di assunzione di responsabilità, sostenendole nell'uso delle risorse proprie e della società, per prevenire e affrontare situazioni di bisogno o di disagio e favorire processi di inclusione.
L'assistente sociale, nell'esercizio della professione, previene e e contrasta tutte le forme di violenza e discriminazione.
L'assistente sociale concorre alla produzione di modelli di sviluppo rispettosi dell'ambiente, della sostenibilità ecologica e della sopravvivenza sociale, consapevole delle difficoltà nel rapporto tra l'essere umano e l'ambiente" (Codice Deontologico dell'Assistente Sociale, artt. 4-13)
perché non dimostrare in maniera responsabile ma alternativa, attraverso contesti di azione non burocratizzati e non gratuiti, ma certamente più attenti e solerti ai bisogni e alle risorse delle persone e delle comunità, che l'Assistente Sociale è tutto questo (e non solo!!!) ?
Se nell'immaginario comune persiste ancora (e purtroppo in maniera unica ed errata) la figura dell'Assistente Sociale "ladro di bambini" o "dispensatore di sussidi economici", io come potrei dimostrare l'esistenza di un'altra faccia della medaglia del lavoro sociale ? Le domande che sono affiorate alla mente e su cui ho condotto un lavoro di poderoso introspezione sono state:
"Chi sono veramente? Cosa posso offrire realmente?"
La risposta è arrivata dopo qualche tempo, nell'aula di un convegno poco partecipato a causa delle disposizioni anti-pandemiche, ed è stata folgorante: "L'Assistente Sociale è l'artefice della grande opera di risanamento sociale del Paese" (riferimento al Convegno di Tremezzo 1946)
Da allora la libera professione è diventata una esigenza, una necessità, una finalità, un modus operandi ... in sostanza uno stile di vita.
Ho così compreso che la mia libera professione non avrebbe potuto essere solo una calcolata partita Iva, non avrebbe mai desiderato presentarsi come un ufficio asettico o una scrivania sommersa di documenti, non avrebbe nemmeno lontanamente immaginato di aspettare "i clienti bussare alla sua porta".
Ho intuito dunque, che la mia libera professione deve iniziare necessariamente dalla risorsa più importante: me.
Ho realizzato pertanto, che la mia libera professione desidera incontrare sempre nuove risorse: persone, comunità, gruppi, enti, organizzazioni.
Ho stabilito infine, che la mia libera professione tende a definire come punti di forza le collaborazioni alla pari con altri professionisti (anche in rete e non in regime di subalternità).
Il principio del "sapere, saper essere, saper fare" è diventato la chiave di lettura per aprire uno sguardo sulla realtà e sul territorio. Il nostro Codice Deontologico indica, infatti, che nessun intervento efficace può prescindere da una conoscenza della realtà in cui opera. E se diviene necessario avere una lungimiranza sociale per operare in maniera scrupolosa ed efficacie, si rende ancora più utile cambiare direzione e dirigersi verso una mutazione di assetti e modalità consolidati, che necessitano di un efficiente mutamento di modelli e di senso.
E sebbene mi si dica che fare il libero professionista oggi richieda impegno, sacrificio, studio, costanza, consapevolezza, coraggio, analisi e rischio a fronte di un approccio mentale completamente differente da chi lavora come dipendente pubblico ... poco mi importa: è un rischio che voglio affrontare ogni giorno con autodeterminazione ed autonomia.
Si, con autonomia, laddove il termine autonomia intende la possibilità per un soggetto di svolgere le proprie funzioni, senza ingerenze o condizionamenti da parte di terzi.
Come scrive E. Comandini: " Ho riletto il nostro codice deontologico, accorgendomi che la parola "autonomia" viene citata ben 7 volte:
>La professione è al servizio delle persone ... ne valorizza l'autonomia ...;
l'esercizio della professione si basa ... sull'autonomia tecnico-professionale, sull'indipendenza di giudizio;
l'assistente sociale ha il dovere di difendere la propria autonomia da pressioni e condizionamenti ...;
deve impegnare la propria competenza professionale per promuovere la autodeterminazione degli utenti ... la loro potenzialità ed autonomia;
... deve chiedere il rispetto del suo profilo e della sua autonomia professionale;
... l'assistente sociale che svolge compiti di direzione e coordinamento è tenuto a rispettare e sostenere l'autonomia tecnica e di giudizio dei colleghi ...;
risponde ai responsabili dell'organizzazione di lavoro per gli aspetti amministrativi, salvaguardando la sua autonomia tecnica e di giudizio.<
Ecco allora come la parola "Autonomia" rimanda all'antitesi della dipendenza (allo stesso modo intesa quale dipendenza da una sostanza, da un legame, da un ricordo, da un'ossessione, da un desiderio o da una scelta)
Ritengo che la nostra professione sia come una università continua, nella quale apprendi dalle vite altrui le più importanti lezioni, quelle nozioni che nessun ottimo libro saprà trasmetterti così in profondità.
Ecco perché amo questo lavoro: perché smonta ogni certezza, rende tutto "individualizzabile" e ti prova, ogni giorno, che la realtà supera di gran lunga la fantasia, che ogni storia ti dimostra qualcosa".
Per riuscire a trovare il proprio equilibrio professionale è importante una buona dose di auto-consapevolezza che ci permette di riconoscere le nostre qualità positive e negative e potenziare, quindi, le nostre abilità verso un "buon lavoro sociale", migliorando la crescita personale e tecnica (secondo l'assunto di base dell'agire in scienza e coscienza).
Alla luce di queste considerazioni e di questo profondo percorso di autoanalisi, risulta abbastanza facile comprendere, dunque, perché la mia Libera Professione sia divenuta una scelta di identità che predilige l'etica della responsabilità, ed attraverso la quale la conoscenza accademica tende ad ispirare costantemente la pratica professionale a beneficio ultimo e superiore di tutte le Persone che incrocio ed incontrerò sul mio cammino.