Nunzianna Di Tursi
L'assistente sociale"Giusto fra le Nazioni"
Aggiornamento: 13 gen
La vita di Irena Sendler, social worker "fuori legge" per scelta e per utopia; icona sempre attuale da custodire attentamente nella memoria.

"Noi sopravvissuti abbiamo dovuto ricordare, per la memoria degli uomini, cose, luoghi e momenti che avremmo preferito dimenticare. Ma soprattutto, abbiamo voluto testimoniare a noi stessi, il miracolo della vita, nata dalle macerie della morte!". Scriveva così Elisa Springer nel suo libro "Il silenzio dei vivi", edito Marsilio nel 2001.
Come ormai sappiamo, il 27 gennaio ricorre la Giornata Internazionale della Memoria delle vittime dell'Olocausto nazista, perpetrato nei confronti del popolo ebraico.
Nel corso della storia ci sono stati diversi tentativi di genocidio: tra i più recenti registriamo quello degli armeni in Turchia del 1915, quello compiuto dalla dittatura comunista in Cambogia a metà degli anni ‘70 e le terribili deportazioni dei contadini russi volute da Stalin negli anni ‘40. Ma fra i tanti, il più conosciuto rimane quello che porta il nome di Shoah.
Se il termine ‘genocidio’ è stato coniato in occasione della Shoah, il vocabolo 'Shoah' lo ritroviamo già presente nel libro di Isaia 47, e precisamente nel verso 11 che riporta: "Ti verrà addosso una sciagura, che non saprai scongiurare; ti cadrà sopra una calamità che non potrai evitare; su di te piomberà una improvvisa catastrofe che non prevederai".
Giuridicamente, invece, il termine genocidio, introdotto come crimine internazionale nel 1948, intende tutta una serie di atti commessi con l'intenzione di distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. I crimini che il genocidio contempla sono: uccisione dei membri del gruppo, lesioni gravi all'integrità fisica e mentale dei membri del gruppo, imposizione di uno stile di vita teso alla distruzione fisica totale o parziale del gruppo, misure mirate a impedire le nascite all'interno del gruppo, trasferimento forzato di minori da un gruppo ad un altro.
Come scrive Angione:
"Ciò che rende unica la Shoah, è il fatto che si trattò di un genocidio razionale, ben organizzato, che si avvaleva della tecnologia e di impianti efficienti per sterminare un popolo intero nel cuore dell’Europa".
In questi giorni, come ogni anno, l'intento non è quello di rievocare semplicemente i sei milioni di ebrei "passati per il camino": per non dimenticare a quali aberrazioni può condurre l'odio razziale e l'intolleranza, infatti, è necessario parlare non di ricordo, ma di "cultura della memoria". Perché oggi più che mai, bisogna avere memoria degli orrori, dei crimini e delle persecuzioni che intere popolazioni sono state costrette (ed ancora oggi - per altri versi- accade) a subire, nell'intento di "espiare la colpa di desiderare una vita migliore".
Oggi, quindi, ci accingiamo a fare memoria della vita di Irena Krzyżanowska Sendler, nota in tutto il mondo come una tra i più autentici "Giusti fra le Nazioni".
Polacca e cattolica, nata il 15 febbraio 1910 a Varsavia, forgiata da un grande senso di solidarietà nei confronti del prossimo ed in perenne opposizione verso tutte le ingiustizie sociali del suo tempo, a causa della promulgazione delle leggi razziali che osteggiò vivamente, fu espulsa per tre anni consecutivi dall'Università di Varsavia. Questa vicenda non le impedì, tuttavia, di terminare gli studi e divenire Assistente Sociale. In una Polonia invasa dai nazisti, Irena iniziò ad aiutare gli ebrei della sua città, fornendo loro assistenza e documenti falsi. Grazie al suo infaticabile lavoro di social worker, riuscì ad accedere nel ghetto di Varsavia e, aiutata dalla Resistenza polacca, trasmigrò fuori dal ghetto migliaia di bambini ebrei, affidandoli ad istituzioni religiose complici ed a famiglie fidate.
Nel 1942, quando nacque l'organizzazione segreta "Consiglio per l'aiuto agli ebrei", Irena ne entrò a far parte come responsabile del dipartimento infantile e il suo nome in codice divenne Jolanta. Vestita da infermiera e con la stella di David al braccio (portata in segno di solidarietà, ma anche per sottrarsi a sguardi inopportuni), addormentava i bambini con i sonniferi e, una volta chiusi in sacchi di juta o casse di legno, li faceva uscire dal ghetto e li conduceva nei centri di assistenza "collaboranti" (da dove venivano smistati altrove, verso orizzonti più sereni). Nel caso i nazisti la fermassero per fare dei controlli, Irena dichiarava che i bimbi nei sacchi erano malati di tifo, mentre quelli nelle casse erano morti: in questo modo aggirava ogni ostacolo a suo continuo rischio e pericolo.
Le sue astuzie "a favore e a tutela dei minori" (oggi diremmo così !), però, furono ripagate dai nemici con il carcere e la tortura continuativa per tre mesi: Irena non confessò dove aveva nascosto i piccoli ebrei e così fu condannata a morte per fucilazione. I compagni di resistenza, con uno stratagemma incardinato sulla corruzione di una guardia carceraria, riuscirono a farla fuggire e una volta libera, continuò nella sua opera di "offuscamento" di bambini innocenti, vivendo ella stessa da "offuscata" e clandestina. Il suo nome divenne Klara Dabrowska e col suo impegno ed il suo sacrificio riuscì a salvare più di 2500 bambini. La sua attività era ben strutturata, infatti conservava i nomi dei bambini salvati interrandoli sotto un albero di melo del suo giardino: chiusi in un barattolo di vetro, allegava a ciascun nome i dati dei veri genitori e i nomi di quelli adottivi e questo permise al termine della guerra, che i leader della comunità ebraica potessero ritrovare i bambini ed aiutare loro a re-incontrare i propri genitori.
Dopo il conflitto Irena Sendler prestò servizio presso il Centro di Aiuto Sociale di Varsavia, e creò diversi orfanotrofi, enti a sostegno di famiglie economicamente disagiate e servizi di assistenza per ragazze madri e bambini in difficoltà. Nel 1949 venne nuovamente arrestata, questa volta dai servizi segreti comunisti, e "brutalmente interrogata" perché sospettata di collaborare e nascondere i partigiani AK (ma questa è un'altra storia, troppo lunga perché possa essere compressa in questo spazio...): riuscì con tenacia e determinazione a proteggere i suoi compagni, salvò la sua persona e riprese subito dopo la sua opera sociale fino alla vecchiaia .
Di certo, ad oggi, possiamo dire che il suo impegno filantropico ed il rischio costante di perdere la vita per la sua nobile causa, le garantì il titolo di merito che la riconobbe come "Giusto fra le Nazioni".
Irena ottenne il premio nel 1965, ma riuscì a ritirarlo solo nel 1983 a causa dei divieti imposti dal regime comunista sovietico. In tale occasione l'ormai famosa assistente sociale ci tenne a rendere noto che non aveva gestito da sola questa impresa: lei era a capo di venticinque persone tutte intente a salvare il ghetto, e tante altre la aiutarono dal di fuori. Tuttavia, dichiarò (e non solo in quella circostanza) di non essere davvero soddisfatta, perché avrebbe "potuto fare di più ... questo è il rimorso che non mi abbandona mai".
La storia di Irena Sendler, dunque, proprio nella settimana delle memoria, ci fa riflettere sul valore della tolleranza, ma soprattutto sul valore della vita che va sempre difesa. Occorre a tal proposito ricordare le parole del presidente nazionale dell'Ordine degli Assistenti Sociali G. Gazzi, che nella giornata della Memoria del 2019 ha dichiarato: "Oggi l'appello di chi, come noi assistenti sociali, è a diretto contatto con un disagio che può sfociare in rabbia, è mai fomentare l'odio, mai additare il diverso. Le istituzioni politiche e non, hanno il dovere dell'ascolto, della prevenzione e dell'intervento. Chi oggi parla di razza, non condanna e minimizza aggressioni fisiche e verbali in nome del colore della pelle e dell'etnia, pensa che quel che è successo non possa riaccadere. Noi ribadiamo il dovere della memoria, siamo impegnati ad insegnare il valore della convivenza e del rispetto altrui ... Oggi con lo sguardo rivolto al cancello di Auschwitz non siamo e non saremo indifferenti al razzismo di ogni giorno".
Lo strazio più grande, in questi ultimi anni, è quello di dover guardare non solo all'indifferenza ed alla vigliaccheria di coloro che negano lo sterminio da una parte, ma anche scoprire l'esistenza di persone che cercano di riproporlo in chiave rinnovata dall'altra, e poi ancor più spesso individuare chi cerca di fomentarlo per il tornaconto economico personale o per quello della propria azienda. Perché (secondo tanti, purtroppo) ... è più facile guadagnare usando il capitale umano; è più esaltante rimpinzare le proprie tasche se a dover lavorare in cambio di un tetto sotto cui riposare, sono i più deboli che non sanno difendersi perché conoscono molto poco la lingua del popolo che li "accoglie"; è più allettante creare il proprio potere e fingere di "proteggere" il prossimo, rivestendo i panni del caporale, del mecenate, dello sfruttatore o peggio ancora del prosseneta.
Non è una colpa o un merito nascere di religione ebraica, cattolica o protestante; né vi è peccato o redenzione nel nascere di "razza bianca, gialla o nera".
Dunque occorrerebbe strapparsi di dosso, una buona volta, i panni dell'indifferenza e non cercare di collocarsi tra i buoni o i cattivi,tra gli "umani" o i "disumani", perché oggi non si può parlare solo di ebrei o di zingari, di africani o di omosessuali. Deve essere semplicemente un dovere di "solidarietà" il nostro (corredato da una sana e positiva utopia), che deve esercitarsi nella garanzia del rispetto dell'altro e nel perseguimento dei suoi diritti umani fondamentali.
E così, come un cerchio che si chiude, riportiamo ancora una volta le parole di Elisa Springer che ci dice che i giovani (ma non solo i giovani) devono sapere, devono ricordare, devono avere memoria che tutto ciò che è stato storia, oggi sotto altre forme più subdole si sta paurosamente ripetendo.
Solo così tutti i martiri sterminati nei lager continueranno a vivere ed a essere storia. A Birkenau, il Portone della morte non si richiuderà più sulla memoria, il binario che l'attraversa non si fermerà più sulla rampa, ma si frantumerà davanti all'altare delle coscienze e della conoscenza, davanti ai ceri della preghiera e ai fiori del riscatto. Lì, in quel punto, si incontreranno i giovani liberi, i ragazzi della pace e lì, ad Auschwitz-Birkenau, dalle ceneri sparse fra le zolle, continuerà a nascere la nostra vita!"