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Immagine del redattoreNunzianna Di Tursi

Prima noi ... prima voi ... dopo chi altro?

Aggiornamento: 14 giu 2022

Sguardo rivolto alla Giornata Mondiale della Giustizia Sociale e riflessioni sui diritti socio-sanitari di base per i rifugiati e richiedenti asilo in Italia.

La Giornata Mondiale per la Giustizia Sociale, istituita nel 2007 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, e celebrata ogni anno il 20 febbraio, pone l’attenzione sull'importanza della giustizia sociale come strumento di eradicazione della povertà e promozione dello sviluppo e della dignità umana. Il messaggio delle Nazioni Unite per la Giornata 2022 è:

"se vuoi la pace e lo sviluppo, lavora per la giustizia sociale".

Si è presentato ghiotto lo spunto di riflessione, per ragionare su una questione ancora oggi tristemente dibattuta, e che in qualche modo tenta di dividere le coscienze a proposito della liceità di garanzia (da parte dei paesi di accoglienza) dei diritti sociali e sanitari a favore di coloro che, non vedendo riconosciuti tali diritti nel proprio paese di origine, "fuggono a cercar fortuna altrove".

Vogliamo proporre, oggi, il tema del diritto all'assistenza sociale e sanitaria a favore dei rifugiati e richiedenti asilo in territorio italiano.


La Convenzione di Ginevra all'art. 23 dello Statuto dei Rifugiati del 1951, riporta come fondamentale il principio di equiparazione del rifugiato ad un qualunque cittadino degli Stati Membri, per cui in materia di assistenza e di soccorsi pubblici, gli Stati Contraenti concedono ai rifugiati che risiedono regolarmente sul loro territorio, lo stesso trattamento concesso ai loro cittadini.


Di conseguenza, come indicato all'art. 1 della stessa Convenzione, "chiunque ha un giustificato timore d'essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza ad un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, trovandosi fuori dallo Stato di cui possiede cittadinanza, non può o non vuole domandare la protezione di detto Stato" e tuttavia a causa di detto timore non vuole o non può far ritorno nel suo paese di residenza, deve essere considerato rifugiato.


In materia di servizi sociali concessi ai beneficiari, più precisa a tal proposito è la Direttiva 95 del 2011, che all'art. 29, indica che gli Stati Membri provvedono affinché i beneficiari di protezione internazionale ricevano, nello Stato Membro che ha concesso protezione, una adeguata assistenza sociale, uguale a quella fornita ai propri cittadini.

Gli Stati membri inoltre possono, a propria discrezione, limitare l'assistenza sociale alle sole prestazioni essenziali che, però, devono essere comunque offerte allo stesso livello e con le stesse modalità di quelle previste per i cittadini di uno Stato Membro.


Anche un cittadino di un paese terzo (o un apolide) che non possiede i requisiti di rifugiato, ma nei confronti del quale sussistono concreti motivi che facciano ritenere che nell'eventualità di rientro in patria (o per l'apolide nel paese dove aveva precedente dimora) correrebbe un rischio di subire grave danno per cui non può o non vuole avvalersi della protezione di detto paese, deve essere considerato ed assistito come un rifugiato in quanto beneficiario di protezione sussidiaria (art. 2 lett. F - direttiva 95/2011).


A livello nazionale invece, troviamo a tal sostegno l'art. 38 della Costituzione, secondo il quale ogni cittadino inabile al lavoro o sprovvisto di mezzi idonei alla naturale sopravvivenza, ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale.

E così, a tal proposito, la legge quadro n. 328/2000 individua gli "interventi di prima assistenza a favore dei profughi" e agli artt. 1 e 2 ci dice che la Repubblica Italiana, assicurando alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, deve:

- attuare pari opportunità e non discriminazione,

- prevenire e ridurre le situazioni di disabilità, disagio e bisogno,

- deve garantire agli stranieri individuati in profughi, stranieri o apolidi, le misure di prima assistenza (intese queste ultime a favore dei profughi in particolare, come misure da attuarsi limitatamente al periodo necessario alla identificazione utile alla concessione del permesso di soggiorno).


E cosi, quanto indicato nell'art. 41 del "Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero" a proposito di accesso all'assistenza sociale da parte di cittadini di paesi terzi (anche relativamente alla fruizione delle provvidenze e prestazioni economiche e di assistenza sociale, da garantire in egual misura rispetto a quanto previsto per i cittadini italiani) lo ritroviamo riportato anche nell'art. 21 del D. Lgs. 286/98, che -per giunta- da possibilità alle Regioni di informare e indirizzare sull'argomento, tenuto conto delle considerazioni riferite al territorio inteso nella sua accezione socio-economica, e considerata la predisposizione e l'attenzione alle questioni di welfare locale (4-ter. Le regioni possono trasmettere, entro il 30 novembre di ogni anno, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, un rapporto sulla presenza e sulla condizione degli immigrati extracomunitari nel territorio regionale, contenente anche le indicazioni previsionali relative ai flussi sostenibili nel triennio successivo in rapporto alla capacita' di assorbimento del tessuto sociale e produttivo).


Entrando nel dettaglio della questione ed analizzando il tema dell'assistenza sociale rivolta ai rifugiati stranieri, così come indicato dall'art. 129 lett. H del D. Lgs. 112/98 (secondo cui ""gli interventi di prima assistenza in favore dei profughi, limitatamente al periodo necessario alle operazioni di identificazione ed eventualmente fino alla concessione del permesso di soggiorno, nonché di ricetto ed assistenza temporanea degli stranieri da respingere o da espellere"), possiamo affermare che il più rilevante criterio di accesso ai servizi sociali rimane il possesso del permesso di soggiorno e la sua durata:

- se la durata del permesso è superiore ad un anno, permette l'accesso pieno all'assistenza sociale,
- se la durata del permesso è inferiore ad un anno (oppure la persona è in attesa di suo rilascio), permette l'accesso solo a misure di prima assistenza.

Più precisamente, l'art. 129 lett. L ci spiega che "le attribuzioni in materia di riconoscimento dello status di rifugiato ed il coordinamento degli interventi in favore degli stranieri richiedenti asilo e dei rifugiati, nonche' di quelli di protezione umanitaria per gli stranieri accolti in base alle disposizioni vigenti" rimangono di competenza dello Stato italiano ( ai sensi dell'articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59).


Per quanto riguarda i servizi socio-sanitari garantiti ai rifugiati, profughi e richiedenti asilo, questi vengono comunque garantiti a pari elargizione degli italiani, ma vengono rivolti con particolare e accurata attenzione ai minori stranieri non accompagnati (attraverso procedura mirata di affidamento obbligatorio ai servizi sociali del Comune di residenza e con indicazione alla tempestiva predisposizione di un Piano Educativo Individualizzato a loro dedicato).

Questo predisposto è contemplato e previsto dall'art. 403 c.c., dalla legge 47/2017 art. 32 detta legge Zampa (nella precisa considerazione dello straniero fino al ventunesimo anno di età), e dalle leggi regionali a corredo della L. 328/2000 (relativamente alla gestione di nuclei monoparentali, delle aree del disagio mentale e della disabilità, delle donne incinte e degli anziani, delle vittime di tratta e sopravvissuti a tortura o violenza psicologica, fisica e sessuale e delle persone sopravvissute a violenza sessuale e di genere).


I servizi socio-sanitari vengono garantiti ed erogati tramite l'accesso ai PUA (Punti Unici di Accesso) delle ASL, ai servizi sociali comunali che definiscono i PAI (Piano Assistenziale Individualizzato), alle associazioni anti-violenza ed anti-tratta, ai servizi di supporto psico-sociale che predispongono ai servizi gestiti da strutture protette e alle visite medico-legali specialistiche. Tutto quanto indicato rimane materia definita dai LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) indicati dal DPCM 12 gennaio 2017, dal T.U. sull'immigrazione D. Lgs. 286/98, dalla L. 328/00, dal Piano Anti-tratta Nazionale e dalle Linee guida sulla presa in carico di rifugiati vittime di tortura.


Ancora, a sostegno di quanto si scrive, la direttiva UE 95/2011 all'art. 30 ci dice che "Gli Stati membri provvedono a che i beneficiari di protezione internazionale, abbiano accesso all'assistenza sanitaria secondo le stesse modalità previste per i cittadini dello Stato membro che ha riconosciuto loro tale protezione"; mentre l'art. 19 della Direttiva UE 33/2013 riporta che "Gli Stati membri provvedono affinché i richiedenti ricevano la necessaria assistenza sanitaria che comprende le prestazioni di pronto soccorso ed il trattamento essenziale delle malattie e di gravi disturbi mentali"; mentre

l'art. 32 Cost. tutela la salute come diritto fondamentale dell'individuo e ne garantisce la salvaguardia attraverso servizi gratuiti agli indigenti.

I richiedenti asilo quindi, così come i rifugiati, hanno regolare accesso ai servizi sanitari previa iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale, al pari degli altri cittadini italiani e nel dettaglio (ancora una volta riportiamo per completezza di trattazione) l'art. 34 del D. Lgs. 286/1998 prevede che gli stranieri regolarmente soggiornanti ed in attesa di rinnovo del soggiorno per motivi di asilo, di lavoro subordinato o autonomo, per motivi familiari o di protezione sussidaria, per protezione speciale e per casi particolari, possono accedere a queste forme di tutela socio-sanitaria in quanto "forme di uguaglianza e civiltà di base" (che sono garantite in quanto queste persone possono e devono essere iscritte negli elenchi delle ASL, così come previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica del 1999 n. 394).

Per cui le categorie in oggetto possono vedersi garantiti: medico di base e pediatra, ricoveri ospedalieri ed assistenza farmaceutica, visite mediche generali e specialistiche, vaccinazioni, radiografie ed ecografie, assistenza riabilitativa e protesica e tutte le altre prestazioni previste dai LEA.


Un solo ulteriore velocissimo appunto va fatto con riferimento alla assistenza sociale in materia di immigrazione e relative procedure di protezione per i minori stranieri non accompagnati, al fine di garantire ed assolvere al principio del superiore interesse del minore, alla accoglienza, partecipazione ed integrazione degli stessi individui.


In Italia l'istituzione competente ad attuare tale principio è quella dei servizi sociali, che svolgono un ruolo importante nel processo di accoglienza dei MSNA.

A tal proposito, anche la L. 184/83 prevede che quando i T.M. ordinano l'affidamento di un minore straniero non accompagnato, devono designare il servizio sociale responsabile del piano di assistenza: la L. 47/2017 risulta ancora più precisa e spiega come l'assistente sociale del Comune cui è affidato il minore, è designato a svolgere il primo colloquio individuale. Obiettivi di questo primo colloquio devono essere la effettiva partecipazione del minore ed il suo sostanziale ascolto teso alla ricostruzione del passato del minore ed alla definizione delle sue aspettative per il futuro.


Capiamo, quindi, come risulti importante parlare di Giornata Mondiale della Giustizia Sociale, quando ancora, in alcune occasioni, ci si ritrova a vedere attentati i principi cardine di non discriminazione, precedentemente indicati. Riportiamo a conclusione una dichiarazione del Cnoas sul tema della giustizia sociale:


"La celebrazione della Giornata, in piena coerenza con l’articolo 3 della nostra Costituzione che afferma la pari dignità sociale e l’uguaglianza davanti alla legge, senza distinzioni, e con il Codice deontologico dell’assistente sociale che ricorda ai professionisti il loro ruolo fondamentale nella garanzia dei diritti, vuole sostenere gli sforzi della comunità internazionale nell'eliminazione della povertà, nella promozione dell’impiego per tutti e del lavoro dignitoso, nell'uguaglianza di genere e nell'accesso al benessere sociale e alla giustizia.

Lavoriamo in contesti nei quali le disuguaglianze sono profonde ed è difficile per le persone capire a quali servizi è possibile chiedere interventi di supporto.

Gli assistenti sociali per il raggiungimento della giustizia sociale si impegnano quotidianamente, cercando di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale, culturale ed economico che, come ricorda la Costituzione, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Ma tanto ancora c’è da fare.

Chiedersi cosa si possa fare per realizzare una società più inclusiva, giusta, equa e solidale è fondamentale. Se il contesto non garantisce e tutela la libertà, l’uguaglianza, la socialità, la partecipazione e la giustizia sociale, rischiano di essere inefficaci le azioni di ogni professionista.

Per provare a rispondere a queste domande, il Consiglio nazionale Ordine Assistenti sociali nel corso dell’anno intende organizzare eventi e convegni per riflettere insieme a persone, associazioni di advocacy, istituzioni, società sui temi della povertà e dell’esclusione, della violenza istituzionale, delle periferie materiali e umane, della dignità del lavoro, dell’abitare, delle relazioni, della salute, della dignità del vivere e del morire per arrivare ad una piattaforma condivisa di proposte ai decisori, alle istituzioni, alla professione, che consenta, davvero, di “Non lasciare indietro nessuno”."

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