Il Mediatore Familiare oltre il principio di bigenitorialità: riconoscimenti normativi indispensabili ed importanti innovazioni legislative e culturali.
Parafrasando una celebre definizione di Kruk, col termine "mediazione" si intende quel procedimento collaborativo di risoluzione del conflitto, in cui due o più parti in lite o in contrasto sono assistite da uno o più soggetti terzi imparziali (appunto definiti mediatori), che li aiutano a comunicare reciprocamente e li conducono, laddove possibile, ad una soluzione condivisa della controversia che li occupa.
Come sappiamo, esistono diversi tipi di mediazione che di seguito elenchiamo:
- mediazione civile e commerciale, deputata alla conciliazione tra due o più soggetti che vogliano trovare un accordo semplice alla risoluzione di una controversia civile o commerciale, relativamente ai diritti disponibili;
- mediazione scolastica, gestita da un esperto competente nella prevenzione e cura dei disagi e delle situazioni conflittuali che possono nascere tra i membri di una struttura formativa;
- mediazione di impresa, che si occupa dei conflitti tra un'impresa ed i fornitori, che media i rapporti con i clienti e gestisce i conflitti tra datore di lavoro e dipendenti;
- mediazione culturale, gestita da un agente bilingue che media una conversazione tra partecipanti mono-lingua appartenenti a comunità culturali differenti e che ha lo scopo di facilitare la comprensione tra due culture;
-mediazione penale, che è un servizio mediante il quale si permette alla vittima e all'autore del reato di partecipare attivamente alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l'aiuto di un terzo imparziale;
- mediazione familiare, che prende le forme di un intervento professionale rivolto alle coppie e alle famiglie in vari modi composte e finalizzato a riorganizzare le relazioni familiari in presenza di una volontà di separazione e/o di divorzio.
In questa sezione, ci occuperemo della mediazione familiare.
Tale pratica, raramente obbligata, ma sempre più consigliata dal giudice, tende a ristabilire un dialogo tra le parti al fine di ridurre gli effetti del conflitto e ristabilire una armonica capacità decisionale dei soggetti; mira inoltre a riorganizzare le relazioni in modo soddisfacente, ottenendo così un risultato conciliativo duraturo.
Uno degli approcci maggiormente applicati nell'esperienza italiana, cerca di introdurre il concetto di self-empowerment a favore di quei genitori che, in sede di conflitto, hanno smarrito la fiducia nelle proprie competenze genitoriali e nella qualità/sensibilità dei propri metodi educativi. La mediazione familiare punta, dunque, a far maturare la speranza e la consapevolezza che, sebbene in forma nuova e ri-modulata, i non più coniugi potranno essere, comunque, genitori ancora.
In base a questo assunto, riusciamo facilmente a comprendere, così, che la mediazione familiare è un processo collaborativo che afferisce al ventaglio delle tecniche A.D.R.(alternative alla risoluzione del conflitto) e che si prefigge di riorganizzare le relazioni familiari in vista o in seguito della separazione o del divorzio.
Il mediatore familiare, sollecitato dalle parti, nella garanzia del segreto professionale ed in autonomia dall'ambito giudiziario (al quale può deferire il solo esito finale della procedura), si adopera affinché i genitori, agendo da protagonisti, elaborino un programma di separazione confacente e soddisfacente per se stessi e per i propri figli; il tutto nella certezza di poter esercitare "serenamente e coscientemente" la comune responsabilità genitoriale.
Se dunque la mediazione familiare può essere considerata come un potenziamento delle capacità negoziali delle parti (che hanno così l'opportunità di guardare oltre la disputa) che, al fine di valutare i propri bisogni effettivi ed interessi preminenti, guardano sotto una diversa luce il proprio conflitto ed aprono nuovi canali di comunicazione (che possono tradursi in una rinnovazione e dunque prosecuzione del rapporto), diventa abbastanza facile comprendere come la "formula" della mediazione familiare risulti molto innovativa, perché porta con se un approccio completamente rivoluzionario rispetto alla logica del "win - lose" (tipico della pratica forense).
Nella mediazione familiare vince la unica nuova regola del "win - win" e la soluzione della disputa sta proprio nella visione rivisitata del non cercare un vincitore ed un perdente (con le ovvie ricadute negative che il perdente porterà a suo danno e che andranno dal disagio economico a quello morale), ma nel riscoprire due "sereni" vincitori/interlocutori.
Inoltre:
se pensiamo che proprio l'Italia ha intravisto nella mediazione un abile strumento per far fronte ai processi troppo lunghi (al punto da solleticare le corde che hanno poi portato alla approvazione della legge Pinto);
se pensiamo che il percorso della mediazione garantisce un giudizio sostanziale e non formale, riqualificando gli individui nel superiore interesse della prole ed avanzando soluzioni che aprono alla bigenitorialità,
viene lecito comprendere come finalmente si sia arrivati alla epocale evoluzione positiva proposta dalla Riforma Cartabia (Legge 206/2021 delega al Governo per l’efficienza del processo civile). La riforma, nell'ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, finalmente regolamenta anche la professione della Mediazione familiare.
Ma facciamo un passo indietro per comprendere la storia dell'istituto giuridico.
Nonostante siano stati tanti i rifermenti legislativi internazionali, europei, nazionali e regionali che fornivano indicazioni anche operative sulla mediazione familiare, prima delle Riforma mancava una legge nazionale ben precisa che riconosceva come "legale" la professione del mediatore familiare. Ad eccezione dell'art. 155 sexies del Codice Civile, introdotto dalla legge sull'affido condiviso (l. 54 del 2006) e poi trasfuso nell'art. 337octies del c. c., che parla di esperti in materia, non si faceva riferimento in un modo univoco alla figura del mediatore familiare.
Ad onor di precisione, riportiamo differenti interventi normativi che si sono occupati di mediazione familiare.
Un primo intervento in tal senso, si è avuto con la legge n. 285 dell'8 agosto 1997 "Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza" che all'articolo 4 c. 1 i) - prevedeva l'istituzione di servizi di mediazione familiare e consulenze per famiglie e minori per il superamento delle difficoltà familiari e personali.
Prima ancora però, la Convenzione Europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d'Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, già riportava all'art. 13 la possibilità di ricorrere alla mediazione familiare "al fine di prevenire o di risolvere i conflitti, e di evitare procedimenti che coinvolgano i minori dinanzi ad un'autorità giudiziaria. Le Parti incoraggiano il ricorso alla mediazione e a qualunque altro metodo di soluzione dei conflitti atto a concludere un accordo, nei casi che le Parti riterranno opportuni".
Un paio di anni più tardi poi, abbiamo avuto la Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa n. 98 del 21 gennaio 1998 che agli artt. 7, 8, 9, 10 e 11 invitava gli Stati Membri a prevedere l'istituto della mediazione familiare quale strumento appropriato alla risoluzione delle dispute familiari e finalmente individuava e disciplinava le funzioni ed i compiti del mediatore familiare. Fino ad ora questa era la normativa a cui si faceva ampiamente riferimento, e che individuava anche la regolare iscrizione ad associazioni di categoria (a loro volta iscritte nelle liste del Ministero dello Sviluppo Economico), quale migliore possibilità per il mediatore familiare per esercitare la professione.
Ancora più tardi si è registrata una ulteriore determinazione del compito del mediatore, attraverso la legge n. 328 del 2000 "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali", che all'art. 16 prevede una serie di significativi provvedimenti che implicano interventi di comuni, province e regioni proprio in materia di valorizzazione e sostegno della genitorialità e responsabilità familiari .
E poi, ancora, abbiamo assistito alla introduzione della legge n. 154 del 4 aprile 2001 "Misure contro la violenza nelle relazioni familiari" che, all'art. 2 modificato nel c.c n. 342 ter , prevede che il giudice può disporre l'intervento dei servizi sociali del territorio (ove occorra quindi, mediazione delegata) oppure di un centro di mediazione familiare o di associazioni che hanno come fine statutario l'accoglienza di donne e minori o altri soggetti vittime di abusi o maltrattamenti.
Ed in ultimo abbiamo avuto la legge n. 54 dell'8 febbraio 2006 "Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli", che all'art. 1 contiene varie modiche del Codice Civile. Tale legge ha introdotto l'art. 155 sexies, confluito nell'art. 337 octies c.c., e prevede che il giudice sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l'adozione dei provvedimenti di cui all'art. 155 che riguardano l'affido dei figli, a un momento successivo per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo che ha particolare interesse per il benessere morale e materiale dei figli.
La nuova disciplina sull'affido condiviso, quindi, prevede in via prioritaria, in caso di separazione, l'obbligo di affidare i figli ad entrambi i genitori, e l'iter che ha consentito la sua promulgazione ha sicuramente evidenziato la necessità e l'urgenza di promuovere un cambiamento della "cultura della separazione",dando particolare visibilità al ruolo che in questo senso può svolgere la mediazione familiare.
Tuttavia, all'art. 2 nulla ci dice di più di quanto già sapevamo, ossia che l'obbligo di affidare i figli ad entrambi i genitori è prioritario ed a tal fine il giudice può inviare le parti verso un percorso di mediazione guidato da esperti (ma non dice dettagliatamente chi sono gli esperti e che formazione devono avere; motivo per il quale - si presume e giustifica - si registrano una serie di diversi approcci per l'espletamento del percorso).
Alla luce di tutto questo, poiché risulta più volte comprovato che la mediazione familiare può essere vista come la soluzione (se non unica) maggiormente attendibile, ragionata, strutturata e duratura utilizzata nella risoluzione delle controversie di coppia, si è giunti alla tanto attesa L. 2006/2021 che all'art. 21 lett o) prevede "che l’attività professionale del mediatore familiare, la sua formazione, le regole deontologiche e le tariffe applicabili siano regolate secondo quanto previsto dalla legge 14 gennaio 2013, n. 4"; e alla lett. p) prevede "l’istituzione, presso ciascun tribunale, di un elenco dei mediatori familiari iscritti presso le associazioni del settore, secondo quanto disciplinato dalla legge 14 gennaio 2013, n. 4, con possibilità per le parti di scegliere il mediatore tra quelli iscritti in tale elenco; prevede che i mediatori familiari siano dotati di adeguata formazione e specifiche competenze nella disciplina giuridica della famiglia, nonché in materia di tutela dei minori e di violenza contro le donne e di violenza domestica, e che i mediatori abbiano l’obbligo di interrompere la loro opera nel caso in cui emerga qualsiasi forma di violenza."
Nonostante le necessarie ed acclamate conquiste, auspichiamo ulteriori riconoscimenti per il futuro prossimo e mostriamo il nostro favore affinché l'attuale procedimento collaborativo assuma carattere di obbligatorietà per le coppie che non riconoscendosi più nel rapporto di coniugio, decidano comunque di svolgere ampiamente e consapevolmente il proprio ruolo genitoriale responsabile a beneficio del minore.
Si consiglia visione del testo di L. 2006/20021 al link https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/12/09/21G00229/sg
Si rimanda alla lettura della Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa n. 98 del 21 gennaio 1998 per ulteriori approfondimenti.
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